Sin dall’inizio del secolo scorso e per quasi 70 anni l’Italia ha conosciuto una forte emigrazione verso nazioni più ricche. Dal 1980 si è verificata un’inversione di tendenza, con la trasformazione dell’Italia da Paese di emigrazione in Paese di immigrazione. Tale fenomeno si è accentuato negli ultimi 15 anni, quando ha subito anche una profonda modificazione: da provvisorio si è trasformato in stabile, perché buona parte della popolazione adulta immigrata non è più clandestina ma regolare e tende a formare nuove famiglie. Ciò ha comportato un notevole incremento sia di nati in Italia da genitori immigrati sia di ricongiungimenti familiari di minori che risiedevano nel Paese di origine. La stabilizzazione del fenomeno migratorio e la formazione di nuove famiglie straniere che portano le tradizioni del Paese di origine determina anche problemi di integrazione culturale con la nostra società. Tra questi, peculiari sono le abitudini alimentari che sono proprie di ogni parte del mondo e di ogni etnia e strettamente connesse alle tradizioni, agli stili di vita e alle credenze religiose di ogni popolo. I pediatri italiani, quindi, per non trovarsi spiazzati di fronte a modalità di maternage infantile che non conoscono, perché non affrontate durante gli anni della loro formazione, debbono per prima cosa prendere confidenza con le tradizioni alimentari delle numerose etnie oggi presenti in Italia (se ne contano 190, con 80 lingue e 18 religioni diverse). Essi inoltre devono sapere se i bambini stranieri tendono ad assumere le nostre abitudini alimentari o a conservare quelle del Paese di origine.
Le nostre conoscenze sull’alimentazione del bambino immigrato in Italia fino a pochi anni fa erano modeste perché riguardavano casistiche poco numerose e limitate a etnie ristrette. Recentemente (anni 2003/2004 ) il Gruppo di lavoro nazionale per il bambino immigrato (GLNBI ) della SIP ha condotto un’indagine multicentrica intervistando retrospettivamente 1.284 madri straniere sulle abitudini alimentari dei loro gli4 . La frequenza e la durata dell’allattamento esclusivo al seno e di quello misto nei bambini immigrati sono apparse più elevate di quelle dei bambini italiani. Tuttavia esse sono sensibilmente ridotte se paragonate a quelle in atto nei Paesi di origine. Nella quasi totalità dei bambini stranieri che vivono in Italia lo svezzamento avviene in epoche (3°-5° mese) e con modalità sovrapponibili a quelle dei bambini italiani, utilizzando alimenti del commercio confezionati nella nostra nazione. Nella 2° e 3° infanzia solo una minoranza dei bambini immigrati preferisce i cibi del Paese di origine a quelli italiani. L’acquisizione da parte dei bambini stranieri delle nostre abitudini alimentari non appare correlata alle diverse etnie esaminate, ma all’essere nato in Italia e/o all’avere raggiunto i propri genitori da più di 4 anni. Lo studio, in accordo con precedenti indagini eseguite in altri Paesi sede di importanti fenomeni immigratori dai Paesi in via di sviluppo, suggerisce che i bambini immigrati tendono ad acquisire le abitudini alimentari della nuova nazione e che con il passare degli anni tale fenomeno si fa più evidente come conseguenza della integrazione con la cultura e gli stili di vita del mondo occidentale.
Nella 2° e 3° infanzia la scolarità favorisce un più stretto contatto e una più facile integrazione dei bambini immigrati con gli stili di vita del mondo occidentale, tra cui anche le usanze alimentari. Queste nel teen-ager italiano sono frequentemente caratterizzate da un’esagerata assunzione di zuccheri a rapido assorbimento, di proteine animali e di grassi saturi con conseguente maggior rischio nell’età adulta di stati morbosi tipici della civiltà moderna: malattie cardiovascolari, obesità, ipertensione, diabete.
Chi sa se – secondo una certa coerenza – un traguardo ulteriore non possa essere quello di far conoscere ai nostri ragazzi qualche vantaggio proprio dello stile alimentare degli immigrati.
In conclusione, l’Italia è ormai divenuta una nazione multietnica e quindi multiculturale. Ciò comporta problemi anche nell’alimentazione infantile, perché questa è differente in rapporto alle usanze, alle tradizioni e alle credenze religiose di ogni etnia. Per non trovarci spiazzati di fronte a esse dobbiamo quindi, per prima cosa, imparare a conoscerle. Tuttavia le popolazioni immigrate, nel loro processo di integrazione culturale con la nostra società, tendono ad acquisire le abitudini alimentari del mondo occidentale, con i possibili rischi sanitari che queste comportano (allergie e intolleranze alimentari, malattie, in senso lato dismetaboliche, proprie dei Paesi industrializzati). Uno dei problemi emergenti relativi alla immigrazione è quindi quello della alimentazione infantile e degli stati morbosi a essa correlati. Potrà essere di grande utilità una sana pedagogia alimentare.