Ciò che si mangia da piccoli ha una grande influenza sul metabolismo, e i suoi effetti restano per tutta la vita, anche se si cambia tipo di alimentazione. In particolare, è vero – cioè dimostrato – se la dieta dei primi mesi è di cattiva qualità, ricca di grassi e zuccheri, almeno nei modelli animali. Secondo uno studio pubblicato sul Journal of Experimental Biology dai ricercatori dell’Università della California di Riverside, il microbiota intestinale è profondamente influenzato da una dieta “occidentale” assunta nel primo periodo della vita, e anche se in seguito essa migliora, dal punto di vista della qualità, non ci sono cambiamenti altrettanto evidenti nelle specie che colonizzano l’intestino.
Per giungere a queste conclusioni, gli autori hanno utilizzato 4 tipi di topi, sottoposti a una dieta definita occidentale, poco salutare perché carica appunto di zuccheri e grassi, oppure a una dieta bilanciata, chiamata standard, e posti nelle condizioni di doversi muovere molto, oppure no (questa variabile è stata introdotta per valutare l’importanza del movimento insieme ai due tipi di dieta).
Dopo tre settimane, gli animali sono stati tutti riportati a condizioni normali, e lasciati con un’alimentazione standard per 14 settimane. A quel punto (cioè a un’età corrispondente ai 6 anni nei bambini) è stata analizzata la loro flora batterica e si è visto che le differenze erano rimaste. Nello specifico, una specie batterica particolarmente importante per il metabolismo degli zuccheri, chiamata Muribaculum intestinale, era sensibilmente diminuita negli animali sottoposti alla dieta occidentale, a prescindere dal fatto che fossero sottoposti anche all’esercizio fisico o meno, mentre era aumentata negli animali che avevano seguito una dieta standard, e ancora di più quando erano stati obbligati a muoversi.
Un andamento simile hanno avuto anche altre specie considerate benefiche e controllate dagli autori, che hanno anche sottolineato come ciò che si mangia sia il fattore più importante, pur essendo visibile una certa influenza da parte dell’esercizio.
Ora lo studio prosegue sia per monitorare anche altre specie (batteriche, ma anche virali e fungine) sia per capire meglio tutto il fenomeno, per esempio inquadrando il momento della comparsa di alcune specie in relazione alla dieta. Poiché si ritiene che non ci siano grandi differenze nell’uomo da questo punto di vista, la conclusione per i ricercatori è già chiara: non siamo quello che mangiamo in generale, ma quello che mangiamo da piccoli.
Articolo di: “ilfattoalimentare.it”