Secondo le stime, oggi in Italia ci sono almeno 600 mila le persone affette da celiachia, ma solo una su tre ha ricevuto una diagnosi certa. Per capire il motivo di questa sottovalutazione del problema abbiamo chiesto un parere a Caterina Pilo dell’Associazione italiana celiachia (Aic), da anni impegnata nella sensibilizzazione sul tema e nella promozione di una maggiore conoscenza e consapevolezza a proposito di questa malattia. La malattia celiaca (o celiachia) è la malattia multifattoriale (trigger ambientale e predisposizione genetica obbligatoria) più diffusa al mondo, colpisce l’1% della popolazione e produce un’infiammazione cronica dell’intestino tenue, scatenata dall’ingestione di glutine in soggetti geneticamente predisposti. Il glutine è la frazione proteica alcool-solubile di grano, segale e orzo. Dal 2005 è riconosciuta come “malattia sociale”, irreversibile ma curata con la dieta rigorosamente “senza glutine” cioè con contenuto di glutine inferiore a 20mg/kg, unica terapia a oggi nota
Durante gli ultimi 40 anni le diagnosi nel nostro Paese sono triplicate, ma mancano ancora all’appello 400 mila persone, che non sanno di avere questa malattia. «Il motivo – chiarisce Pilo – è che questa patologia può determinare un quadro clinico variabile, con sintomi che non riguardano solo l’organo bersaglio (l’intestino) ma possono manifestarsi anche con la comparsa di anemia, afte in bocca o riduzione dello smalto dei denti, infertilità, alopecia, artrite, disturbi del comportamento alimentare e così via. Per non parlare dei casi del tutto asintomatici, scoperti solo a seguito degli screening familiari raccomandati ai parenti di primo grado dei celiaci, che hanno il 10% in più di probabilità di avere la celiachia rispetto alla popolazione generale».
Il primo passo per migliorare la situazione è accrescere le conoscenze dei medici su questa malattia. «È importantissimo – spiega l’esperta – che il medico riconosca la celiachia anche in presenza di sintomi aspecifici, in modo da indirizzare il paziente ai corretti test diagnostici: prelievo del sangue per evidenziare la presenza di anticorpi specifici e, successivamente, la biopsia intestinale. In caso contrario il paziente può dover attendere fino a sei anni (in media) prima di avere la diagnosi e iniziare la cura necessaria». I motivi di queste lunghe attese sono diversi, ma senza dubbio la pandemia ha rallentato ulteriormente il percorso diagnostico. I dati del 2020 hanno fatto registrare un ulteriore calo del tasso di diagnosi, già molto diminuito negli anni precedenti, lasciando un numero maggiore di persone senza spiegazione per i sintomi che compromettono la qualità della loro vita e, se non trattati per tempo, rischiano di danneggiare la loro salute anche in modo grave e irreversibile, favorendo l’insorgenza di complicanze.
«L’ostacolo principale è la scarsa conoscenza del problema – prosegue Pilo –, che tuttora riguarda non solo la popolazione generale, ma spesso anche i medici, che andrebbero formati e aggiornati per attuare una campagna di prevenzione, attraverso la diagnosi precoce, dei danni alla salute causati dalla diagnosi tardiva o mancata di celiachia. Oltre alla salute e alla qualità della vita del paziente, pensiamo ai costi che gravano sulla collettività per accessi alle visite ed esami inutili e ai costi sociali che ne derivano». Le convinzioni errate riguardo alla celiachia sono molte, la più gettonata è quella che l’aumento dei casi scoperti (passati da uno su 10 a uno su quattro) sia da attribuire all’introduzione di nuove varietà di frumento con un contenuto di glutine maggiore rispetto alle varietà antiche. C’è poi la confusione con altre patologie apparentemente correlate come l’allergia al frumento (una condizione patologica che non dipende dal glutine e coinvolge meccanismi immunitari diversi, che investono sistema respiratorio, cute e mucose) o la gluten sensitivity, cioè a una presunta sensibilità ai cereali, ancora oggetto di ricerca.
Ancora più preoccupanti sono la tendenza crescente all’autodiagnosi e i falsi miti legati al glutine, con conseguente adozione di diete gluten free fai da te. «Oggi molte persone scelgono di eliminare il glutine dalla propria dieta nella convinzione che questo le aiuti a prevenire la celiachia o a perdere peso – prosegue l’esperta –, convinzioni entrambe false. Viceversa, ci sono soggetti celiaci (accertati o presunti) che, invece di sottoporsi alla dieta corretta, ritengono di ‘limitare i danni’ della malattia prediligendo i cereali antichi, nell’errata speranza che risultino meno tossici per il loro organismo. Purtroppo non è così, perché questi cereali hanno il glutine. Anche l’adozione della dieta senza glutine prima che l’iter diagnostico sia completato è un comportamento dannoso: la terapia deve essere adottata solo a diagnosi completata».
Dal 1979 Aic si impegna affinché i pazienti celiaci vedano garantito il loro diritto alla diagnosi precoce e alla terapia dietetica, che in Italia è parte delle forme di assistenza integrativa della sanità pubblica. Impegno dell’Aic è di rendere sostenibile quest’assistenza, per i celiaci di oggi e quelli che verranno. Ogni forma di riduzione dei costi dell’assistenza è pertanto promosso. Non solo favorire una sempre più ampia diversificazione dei canali di erogazione della terapia senza glutine (farmacie, supermercati e negozi specializzati), ma arrivare presto alla completa digitalizzazione dell’assistenza (non ancora attiva in quattro regioni), che prevede il rilascio ai pazienti celiaci di buoni elettronici nella tessera sanitaria o in altro dispositivo digitale, utilizzabili nei punti vendita convenzionati con le Asl del territorio.
In più, Aic promuove una maggiore conoscenza della celiachia in Italia, con progetti di formazione e aggiornamento rivolti a medici di famiglia, pediatri, specialisti e dietisti, ma anche alla cittadinanza e a tutti gli operatori del settore food. «Dal 2015 – conclude Pilo –, ogni anno si celebra la Settimana nazionale della celiachia, che prevede un calendario ricco di appuntamenti e iniziative su tutto il territorio nazionale, grazie al coinvolgimento di 20 associazioni locali». Non mancano infine le attività rivolte alle scuole, ai ristoratori e alle aziende, con progetti, materiali didattici e informazioni online, accessibili anche dalla app Aic Mobile, per mettere a disposizione dei soggetti interessati tutte le informazioni utili in tema di classificazione degli alimenti, norme, diritti, nonché consigli e accorgimenti per interpretare correttamente le etichette e gestire al meglio la dieta, compiendo le scelte giuste ed evitando contaminazioni (che possono per esempio avvenire anche attraverso pentole e utensili da cucina).
Articolo di: “ilfattoalimentare.it”