Secondo il rapporto ONU 2017, nel 2050 saremo quasi 10 miliardi di persone, 8,6 solo nel 2030: anno cruciale anche per il raggiungimento degli obiettivi contenuti nell’Agenda sullo Sviluppo Sostenibile, il programma sottoscritto da 193 Paesi membri delle Nazioni Unite nel 2015 a garanzia di azioni condivise nel segno della prosperità delle persone e del pianeta. Nonostante gli sforzi di sensibilizzazione e le (prime) azioni intraprese da più parti, nel 2018 la fame nel mondo non ha accennato a diminuire anzi, afferma la FAO, da 811 milioni di persone senza cibo a sufficienza, siamo passati a 820. Il cambiamento climatico sta mettendo ormai da tempo a dura prova il nostro ecosistema e, di conseguenza, anche la produzione alimentare, settore in cui, peraltro, si registrano ancora numeri impressionanti circa lo spreco di cibo, in gran parte legato a motivi di tipo estetico.
Cosa c’entra tutto questo con il mondo del lavoro? Parecchio, perché oltre a nuove bocche da sfamare ci saranno nuovi lavoratori da occupare (circa 1,6 miliardi di persone solo nei paesi a basso e medio reddito, stima il rapporto 2017 della World Bank); perché è evidente che i metodi tradizionali di produzione non possono essere sufficienti a far fronte a una crescita così imponente della domanda o alla sfida climatica; e perché tecnologie alternative all’impiego umano stanno emergendo in tutti i settori, compreso quello agroalimentare: saperle utilizzare diventa allora un fattore distintivo importante in un mercato in fase di cambiamento. In attesa che modelli sociali ed economici diversi si diffondano su larga scala, anticipare le evoluzioni del settore e impadronirsi di nuovi mestieri nell’ambito del cibo è fondamentale per le prossime generazioni e quelle attuali. Ecco allora qualche proiezione sui lavori futuri nel food, dal campo alla tavola.
LAVORI FUTURI NEL SETTORE FOOD: L’AGROALIMENTARE DI DOMANI
L’internet delle cose è ormai una realtà che permea sempre più segmenti della società nei paesi sviluppati e, con ritmi diversi, e in quelli in via di sviluppo con conseguenze che ricadono anche sul mondo del lavoro in generale: solo negli USA, il 47% dei lavoratori rischia che il proprio posto di lavoro venga rimpiazzato dall’automazione – riporta il recente documento della Global Commission on the Future of Work dell’ONU. Per altro verso, però, la stessa automazione porta a un generale miglioramento della produzione, anche nel settore agroalimentare, come dimostrano pratiche legate allo smart farming e all’agricoltura 4.0.
Ma il sistema cibo non significa solo agricoltura o allevamento: la sua filiera comprende infatti numerosi step successivi all’estrazione della materia prima, come la conservazione, la manipolazione, la distribuzione, il trasporto e la logistica, la vendita, la preparazione, la ristorazione, la promozione e numerose altre attività associate. L’industria alimentare va quindi considerata in questo senso più ampio ed è a tutti questi livelli che si modificheranno le attività attuali e si inseriranno le professioni future, sempre più condizionate dall’avanzamento tecnologico e dalle necessità globali.
PRODUZIONE AGROALIMENTARE: NUOVI MESTIERI IN CAMPO
Quali sono, quindi, i mestieri di domani in fatto di produzione alimentare? Il primo e più significativo cambiamento, in termini di tempo e competenze, riguarda gli agricoltori, che saranno chiamati a confrontarsi con i dati più che con la terra. Grazie all’impiego di droni e sensori in loco, sarà infatti possibile raccogliere informazioni sullo stato di salute dei terreni e delle coltivazioni, che potranno essere lette e processate da remoto, limitando così grandemente l’intervento manuale sul campo. Un’ottimizzazione del tempo, oltre che delle risorse, che sarebbe però sbagliato semplificare in una mera riduzione del lavoro o della fatica fisica: avere a disposizione determinati dispositivi, infatti, implica anche potersi concentrare su più appezzamenti alla volta e più distanti, analizzandone le caratteristiche e i bisogni da lontano. E questa è la parola chiave: analizzare. Il data analyst o data scientist diventa, qui come in altri passaggi della filiera, la vera figura di svolta del comparto alimentare, perché è in grado di interpretare i grandi numeri forniti dalle macchine determinando gli interventi successivi. È evidente quanto questo modo di fare agricoltura possa essere di supporto anche in contesti rurali non avanzati, in cui le barriere fisiche e la carenza di infrastrutture possono essere superate grazie alla tecnologia.
Non solo coltivazioni tradizionali, però: il futuro del cibo passa anche attraverso nuove abitudini alimentari, legate ad esempio alla necessità di ridurre – non potendo sempre aumentare – la produzione cerealicola o gli allevamenti intensivi, per investire su risorse alternative come gli insetti commestibili, le alghe o la carne sintetica. Nuovi “farmers” e ricercatori, quindi, ma anche ingegneri ed esperti di colture fuori suolo, vertical farming e sistemi agricoli alternativi, con un forte grado di specializzazione tecnica e informatica. Anche il cambiamento climatico richiederà figure dedicate allo studio dei suoi effetti e di possibili soluzioni contenitive, soprattutto per quello che riguarda le conseguenze sull’approvvigionamento di cibo e sostanze nutritive vecchie e nuove.
DALLA LAVORAZIONE ALLA VENDITA: COSA CAMBIERÀ
La tendenza a sostituire la manodopera con l’intelligenza artificiale non è cosa di oggi: già nel 2013 Frey e Osborne, due ricercatori dell’Università di Oxford, avevano teorizzato che entro il 2020 almeno 700 mestieri sarebbero passati sotto il rullo compressore della robotica, per essere rimpiazzati. Tra questi anche l’agronomo, il personale di sala (in particolare dei fast food), i cuochi e i panettieri. Non tutto è cambiato, ma, a ben guardare, i primi esperimenti di meccanizzazione hanno interessato proprio la ristorazione e il retail, con distributori e casse automatiche che non prevedono più la presenza umana. Anche la logistica e la movimentazione di generi alimentari (siano essi materie prime o cibi processati) stanno vivendo un mutamento dato dalla sempre maggiore informatizzazione dei trasporti, tesa anche alla diminuzione delle emissioni nocive e alla riduzione dello spreco alimentare ai primi anelli della catena. Davanti a professioni che spariscono o che si trasformano, altre però si sviluppano, spesso in risposta ai nuovi trend di consumo, anche questi sempre più digitalizzati.
Così, se aumenta la richiesta di prodotti tracciabili e sostenibili, se crescono le vendite di alimenti “senza” (senza glutine, senza lattosio, etc.) e se siamo sempre più propensi a effettuare acquisti online (e-commerce), diventa necessario per l’industria munirsi di:
- Data Analyst, ancora una volta, ovvero persone che, come si legge nello studio del World Economic Forum sui lavori del futuro, dovranno essere in grado di aiutare le aziende a “comprendere e inferire conclusioni utili dalla mole di dati generati dagli innesti tecnologici”. Secondo l’economista Hal Ronald Varian, si tratterebbe della “professione più sexy del futuro”, perché capace di unire competenze come la statistica, la comunicazione e il management in un’unica figura;
- Manager, marketers e comunicatori digitali (ovvero web marketing manager, social media manager, e-commerce manager ed export area manager) che sappiano sfruttare i canali online per incontrare la domanda e guidare le scelte d’acquisto, tanto in Italia quanto all’estero, valorizzando, ad esempio, il Made in Italy che continua a registrare segnali positivi;
- Innovatori di prodotto, ma anche di servizi: i food innovator anticipano le tendenze e sviluppano nuove proposte in linea con le richieste del mercato, siano esse strettamente alimentari o meno, come il packaging o la distribuzione sostenibile.
Tutto questo è vero a grandi linee, ma va calato nelle diverse realtà nazionali, che differiscono tra loro per tessuto sociale ed economico, e sono soggette a dinamiche interne e rapporti internazionali propri. Qual è, allora, la situazione italiana?
LAVORO E FOOD INNOVATION IN ITALIA
Uno spaccato sui lavori futuri nel food in Italia lo forniva, in occasione di Expo 2015, l’indagine Work in Food del Manpower Group che evidenziava alcune carenze tipiche del sistema italiano come l’assenza nelle piccole e medie imprese a gestione familiare, di manager esterni al nucleo proprietario, ruoli invece affermati in paesi come la Francia e la Germania, proprio per la loro preparazione specifica. “L’altra lacuna delle aziende italiane” – si legge nel documento – “riguarda l’aspetto digital: già oggi la metà degli acquisti in negozio è influenzato dal web, ciò nonostante, le aziende italiane non hanno ancora messo a punto una strategia commerciale integrata e multicanale, che intercetti e coinvolga il consumatore offline e online.” Oggi qualche segnale in più che va nella direzione evolutiva tracciata sin qui c’è, e lo dimostrano i primi programmi di apprendimento erogati da istituti quali il Politecnico di Milano o Talent Garden sull’ingegneria del cibo, l’analisi dei dati e il management di e-commerce.
Secondo l’Osservatorio Smart AgriFood, l’Italia è inoltre il paese europeo con il maggior numero di startup che riguardano il settore agroalimentare: una tra tutte, la virtuosa Elaisian, che si occupa della salvaguardia dell’olio d’oliva italiano. Vi sono poi realtà particolarmente imprenditive che del progresso digitale hanno fatto la cifra del loro successo, come la cooperativa Agrisfera che ha investito ampiamente nelle nuove tecnologie, tanto da rendere completamente robotizzata la mungitura delle mucche da latte nonché il controllo dei campi, con un aumento della produzione dal 2009 del 19% di cereali, 8% di mais e 53% di colture industriali. Certamente si tratta di un percorso appena iniziato e in cui c’è ancora un ampio margine di miglioramento: in molti casi, infatti, mancano proprio la consapevolezza e la cultura aziendali necessarie per capire le potenzialità di alcune nuove figure professionali che, con il tempo, diventeranno sempre più il paradigma del cambiamento globale dell’industria alimentare.
In un mondo in cui il settore del cibo e delle bevande è una delle principali fonti di lavoro, che contribuisce anche a favorire l’occupazione femminile, è comprensibile che l’ingresso di sistemi digitali in grado di sostituire la manodopera manuale generi timore e diffidenza. Tuttavia, è evidente come un approccio strettamente binario pro o contro la tecnologia sarebbe anacronistico e inutile: si tratta infatti di un processo inevitabile e, se ben gestito, vantaggioso anche ai fini di quel progresso sostenibile che tanti governi si sono impegnati a intraprendere. Servono, come in tutti i cambiamenti, la giusta ponderazione e lungimiranza per evitare che il contesto di occupazione (e disoccupazione) attuale peggiori in termini qualitativi e quantitativi.
Quello del rapporto tra uomo e macchina è un confronto vecchio di secoli: il punto è saperlo affrontare, anche in ambito lavorativo, non credete?
Articolo di: “www.ilgiornaledelcibo.it”