Dopo i lotti di caffè e di mandorle ritirati in via precauzionale per presenza di micotossine, si riaccende l’allerta sul rischio di contaminazione chimica e biologica degli alimenti. Ma l’allarmismo è ingiustificato. Le micotossine sono sostanze prodotte dal metabolismo secondario di alcune muffe (funghi microscopici) appartenenti principalmente ai generi Aspergillus, Penicillum, Fusarium e Alternaria, che possono svilupparsi in molti alimenti e del cui potenziale rischio per la salute del consumatore si dibatte con maggiore o minore enfasi da diversi anni, soprattutto in relazione al fatto che queste molecole sono molto resistenti ai processi delle filiere alimentari, anche ad alte temperature, come cottura, pastorizzazione/sterilizzazione, tostatura.
Oggi, in particolare, a riportare la questione al centro dell’attenzione pubblica sono stati il richiamo a scopo precauzionale disposto lo scorso dicembre dal ministero della Salute per tre marchi di cialde e capsule di caffè in cui l’ocratossina era presente in quantità superiore ai limiti di legge previsti dall’UE e in febbraio di alcuni lotti di mandorle per la presenza di aflatossina; infine, ha destato qualche timore ingiustificato la ricerca secondo la quale i formaggi grattugiati possono contenere ocratossina e sterigmatocistina anche se a livelli di tracce.
L’allarmismo alimentato da molti mezzi di comunicazione è spesso del tutto ingiustificato. Come spiega Terenzio Bertuzzi, professore associato del Dipartimento di Scienze animali, degli alimenti e della nutrizione dell’Università Cattolica di Piacenza (che si interessa della presenza di questi composti negli alimenti da diversi anni), “le muffe in questione possono teoricamente svilupparsi in un gran numero di alimenti (come cereali e derivati, caffè, legumi, cacao, frutta secca, vino, birra, salumi e formaggi stagionati e uvetta), ma solo nel caso in cui nei vari passaggi della filiera produttiva si siano verificate alcune condizioni ambientali (umidità e temperatura) favorevoli alla loro proliferazione e alla sintesi di micotossine. In ogni caso la loro presenza negli alimenti è limitato a quantità minime, che vengono rilevate solo grazie a strumentazioni sempre più performanti, ma che sono di scarso rilievo tossicologico e quindi ininfluenti sulla salute dei consumatori”.
D’altronde, gli stessi livelli di legge fissati dall’Unione Europea (a volte anche 10 volte più restrittivi rispetto a quelli previsti in USA) sono solo ‘soglie di precauzione’, il cui eventuale superamento non implica un rischio effettivo di tossicità degli alimenti contaminati per il consumatore. In base alla pericolosità di alcune micotossine (e di altri contaminanti presenti negli alimenti), l’Efsa ha stimato un intervallo minimo di ingestione giornaliera che può causare una lieve tossicità e da questi valori ha fissato dei limiti di legge basandosi su margini di esposizione molto restrittivi. Inoltre, “come testimoniato dai ritiri di lotti di caffè e mandorle, i controlli vengono effettuati molto assiduamente; in altri casi, come in quello dei formaggi – puntualizza Bertuzzi – i livelli di micotossine rinvenuti sono talmente bassi che questi prodotti sono persino stati esclusi dalla lista degli alimenti normati per l’ocratossina dal nuovo regolamento UE entrato in vigore il 1° gennaio 2023”. E lo stesso vale per la sterigmatocistina, “una micotossina ancora ‘nuova’ in Europa (e nel resto del mondo), per la quale ancora non esistono limiti massimi di esposizione (MOE) e di concentrazione negli alimenti, stabiliti per legge”.
Anche il rischio di un eventuale ‘effetto cocktail’ (cioè dall’assunzione complessiva di micotossine diverse attraverso il consumo di alimenti che possono veicolarle e che difficilmente può essere calcolata con esattezza) non preoccupa troppo gli esperti. “Le aziende che operano nel settore alimentare in Italia e in Europa conducono controlli assidui (in molti casi giornalieri) sulle diverse fasi di lavorazione dei prodotti, lungo tutta la filiera. Grazie alla ricerca, spesso in sinergia con le principali aziende e Consorzi di tutela italiani, sono stati definiti sia i criteri di selezione delle materie prime da utilizzare per la produzione di alimenti finiti sicuri, sia le migliori pratiche da adottare nei punti più critici delle diverse filiere per evitare la crescita di muffe”.
Da parte sua, per tutelarsi il consumatore può orientare i propri acquisti su prodotti di qualità garantita e provenienza tracciata, evitando quelli provenienti da Paesi extra-Ue, oggetto di numerose allerte ogni anno. “Aziende e istituzioni – conclude Bertuzzi – devono invece proseguire nella propria attività di controllo e vigilanza e puntare sull’informazione dei consumatori, affinché scelgano prodotti certificati e ufficialmente riconosciuti come sicuri e perché adottino comportamenti consapevoli anche a casa, durante la conservazione e la preparazione degli alimenti; per esempio astenendosi dal consumare quelli ammuffiti, anche solo in superficie, dato che le micotossine possono essere presenti non solo dove la muffa è cresciuta, ma anche per qualche millimetro all’interno dell’alimento”.
Articolo di “ilfattoalimentare.it”