La frutta e la verdura con residui di pesticidi superiori ai limiti di legge risulta essere decisamente poca. Secondo le analisi effettuate dagli organi ufficiali, infatti, solo l’1,39%, cioè 35 su 2.519 campioni analizzati nel 2020, è fuori norma. Sono questi i numeri presentati nel dossier Stop pesticidi di Legambiente, che mette però in evidenza anche un altro dato: la quota di campioni senza alcun residuo è solamente del 63,3%. Ben il 35,3% dei campioni analizzati, invece, presenta uno o più residui. In pratica, circa 14 campioni su 100 sono risultati con un residuo entro i limiti di legge, e circa 22 con tracce di due o più pesticidi.
La quantità di campioni irregolari è quindi in linea con quanto rilevato l’anno precedente (quando erano l’1,2%) e la buona notizia è che la quota di campioni priva di residui è passata dal 52 al 63%. Bisogna però notare che 22 campioni su 100 presentano residui di due o più sostanze diverse e si sta facendo ancora poco per capire gli effetti dei residui multipli. “Nel complesso, sono state individuate 97 sostanze differenti – dice Angelo Gentili, responsabile agricoltura di Legambiente – e in alcuni casi i fitofarmaci presenti sullo stesso campione sono più di cinque: ne sono stati trovati addirittura nove in un campione di prugne, 10 in uno di ciliegie e 12 in uno di pere. Noi contestiamo che questa situazione sia considerata ammissibile, senza che siano messi in evidenza gli effetti additivi o sinergici dovuti all’interazione dei diversi pesticidi fra loro e con l’organismo”.
In linea con gli anni scorsi, è la frutta quella che presenta il maggior numero di residui: i campioni con residui oltre i limiti sono l’1,63%, quelli con tracce di una sola sostanza il 14,3% e quelli con più di una il 39,2%. In sostanza, solo 45 campioni di frutta su 100 sono risultati regolari. Le varietà che risultano più interessate dal problema sono l’uva da tavola (86 campioni su 100 presentano residui), le pere (82%), le fragole (72%) e le pesche (67,4%). I campioni fuorilegge sono invece soprattutto di agrumi, piccoli frutti e frutta esotica. La verdura, invece, con il 74% dei campioni privi di residui di fitofarmaci, è risultata mediamente più ‘pulita’. Fanno eccezione pomodori e peperoni, per i quali i campioni privi di residui erano circa quattro su 10. Nei pomodori, in particolare, sono state trovate 34 tipologie di fitofarmaci e i campioni di peperoni irregolari erano il 7,4% .
Riguardo alle tipologie di prodotti, emerge che i pesticidi che si trovano più spesso sono i fungicidi e gli insetticidi (fra cui boscalid, acetamiprid, metalaxil). Sono stati trovati anche thiacloprid e imidacloprid, sostanze (neonicotinoidi) particolarmente pericolose per le api e oggi proibite. Fra le sostanze più discusse spiccano gli organofosforici, come chlorpyrifos, principio attivo definito non sicuro dall’Efsa (l’Autorità europea per la sicurezza alimentare) solo nell’agosto 2021. A questo gruppo appartiene anche il glifosato, erbicida autorizzato in Europa, il più utilizzato in Italia, ma che il produttore ritirerà dall’uso domestico in Usa dal 2023, in seguito alle numerose cause che associano questo prodotto alla comparsa di linfomi non Hodgkin.
Il quadro è completamente diverso per i campioni da agricoltura biologica: nessuno è risultato ‘fuorilegge’, il 97,5% dei campioni non presentava alcun residuo, mentre i campioni con un residuo (comunque sotto i limiti) erano l’1,2% e la stessa percentuale presentava più di una sostanza. Da diversi anni, ormai, il consumo di pesticidi è in diminuzione in tutta Europa e in Italia, in particolare, dal 2011 al 2018 è diminuito del 30%. Però non basta, perché nel 2019 sono state vendute più di 111 mila tonnellate di prodotti fitosanitari e si tratta spesso di sostanze che rimangono a lungo nell’organismo e nell’ambiente, come risulta anche dalle analisi delle acque. I dati di Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) sui pesticidi rinvenuti nelle acque, mostrano infatti che il 77,3% delle acque superficiali e il 35,9% di quelle sotterranee sono inquinati da residui di pesticidi. La contaminazione delle acque superficiali supera gli standard di qualità ambientale nel 21% dei punti di monitoraggio e le sostanze più spesso presenti sono il glifosato e il suo metabolita Ampa.
“L’unica ricetta possibile per la salvaguardia della salute e dell’ambiente è l’agroecologia – fa notare Gentili –. Non basta ridurre l’uso di pesticidi, ma occorre mettere in atto buone pratiche agricole che permettano di conservare la biodiversità degli ecosistemi e la fertilità del suolo. A questo si aggiunge un impegno ad andare sempre di più verso l’agricoltura biologica, come raccomandano le strategie Farm to fork e Biodiversità sostenute dall’Ue, che prevedono, fra gli obiettivi per il 2030, la riduzione del 50% dei pesticidi e il 25% dei terreni agricoli coltivati con metodo biologico”. L’agricoltura biologica riveste un ruolo molto importante per salvaguardare la salute e, ancora di più, per mantenere la biodiversità.
Parlando di biodiversità non si intendono solo le farfalle o gli uccelli che possiamo vedere svolazzare sui campi, ma la biodiversità dei suoli, un tema ancora più importante. I pesticidi hanno un impatto negativo sugli invertebrati che popolano il terreno, fondamentali per la fertilità del suolo e quindi per la vita delle piante e degli ecosistemi (ne abbiamo parlato qui). I sistemi naturali si basano su reti complesse di interazioni fra l’ambiente fisico (disponibilità di luce, acqua, sostanze nutrienti) e gli esseri viventi: alterare uno di questi componenti, anche se ‘indesiderato’, come gli insetti che danneggiano le colture, può avere effetti imprevedibili sul sistema. Per questo, oltre a misurare la presenza di pesticidi nell’ambiente, è importante utilizzare bioindicatori, studiare cioè le popolazioni di esseri viventi che sono colpiti dall’uso di pesticidi, per esempio le api e altri impollinatori.
“Lo studio degli effetti dei pesticidi sulle popolazioni degli impollinatori ha un doppio significato – spiega Silvia Casini, professore associato di ecologia ed ecotossicologia dell’Università di Siena –: dà un’indicazione sullo stato di salute di questi insetti, ma dà anche una misura del grado di contaminazione dell’ambiente. I residui di pesticidi, infatti, non sono potenzialmente dannosi solo quando li troviamo sugli alimenti, ma hanno effetti negativi anche sull’ecosistema. Per questo portiamo avanti studi di monitoraggio in natura, coinvolgendo apicoltori che hanno arnie in punti diversi: dai boschi alle zone agricole, alle aree in prossimità dei centri urbani. Gli apicoltori collaborano volentieri, perché preoccupati per il declino delle popolazioni di api. Oltre al monitoraggio in natura, portiamo avanti anche studi in laboratorio per valutare la tossicità dei prodotti utilizzati, in particolare su api, bombi e lombrichi. È infatti vero che, prima che un pesticida sia immesso sul mercato, ne viene valutata la tossicità. Questi studi si focalizzano però sui singoli principi attivi e non sul prodotto tal quale. Noi invece utilizziamo i prodotti commerciali, perché un pesticida a volte contiene diversi principi contemporaneamente, oltre ai coadiuvanti, spesso nemmeno esplicitati. Si tratta quindi di miscele di sostanze che possono essere in parte ignote”.
Mentre di solito le valutazioni della tossicità si basano sugli effetti letali dei principi attivi, gli studi condotti dal team della professoressa Casini considerano anche gli effetti subletali, cioè quelli che, pur non uccidendo gli animali, ne alterano in modo negativo le attività vitali. “Consideriamo per esempio gli effetti sul sistema immunitario, che fanno sì che gli insetti si ammalino più facilmente; ma anche gli effetti sul sistema nervoso, che causano alterazioni del comportamento – conclude Casini –”. Alla luce di questi dati, il responsabile di Legambiente evidenzia come sia sempre più urgente approvare la legge sul biologico, ferma alla Camera. “Si tratta – sottolinea Gentili – di uno strumento fondamentale per lo sviluppo di un settore nel quale l’Italia è leader in Europa. È urgente inoltre approvare il nuovo Piano d’azione nazionale per l’uso dei pesticidi, fermo ormai al 2014 e quindi aggiornare le direttive per l’uso dei pesticidi, in base alle nuove conoscenze emerse in questi anni”.
Articolo di: “ilfattoalimentare.it”